Un ristorante con i tavolini a pochi passi dal mare, una serata languida e calda; un tramonto infuocato e una stellata da brividi; nell’aria un silenzio affascinante, rotto solo dall’onda che batte, qualche metro più in là.
Sembra un cliché esotico da romanzo d’appendice, una logora istantanea da feuilleton, una banale scena da film romantico; tutte cose di cui solitamente sorrido, dall’alto del mio sofisticato gusto critico, del mio emancipato cinismo, della mia divertita ironia da viveur (chi non mi conosce si fidi, chi mi conosce non rida troppo sguaiatamente…).
Eppure, quella volta (come tante altre…) ci sono cascato in pieno; con tutte le scarpe, come si suol dire. Alla faccia dei sorrisini facili e del mio presunto distacco da consumato uomo di mondo.
Era una cena a lume di candela: la luce fiammeggiava tremula e incerta, intimidita come me dalla bellezza della donna che mi stava accanto. La sua pelle era ambrata, le mani si muovevano con eleganza, il volto sembrava disegnato dagli angeli, il sorriso lasciava senza fiato. Sulla cascata silenziosa e scura dei suoi capelli i riflessi delle stelle danzavano con quelli della candela.
Ho cominciato ad annaspare quasi subito ma ho cercato di mantenere la lucidità e risultare brillante: quando ci riuscivo e il suo sorriso si accendeva, sentivo il respiro spezzarsi di felicità e il cuore perdeva un battito, per dedicarlo a lei.
Il cameriere aveva capito tutto e ci guardava compiaciuto. Era divertito dalle nostre continue richieste di riempire i bicchieri di bibita, qualsiasi cosa ci fosse sul piatto, come fossimo due bambini. Veniva ad accontentarci spesso e si concedeva battute simpatiche: lei scoppiava a ridere e io venivo travolto dal fiume in piena della sua allegria.
Stavamo bene, eravamo complici, tutto sembrava perfetto. Avrei voluto congelare il tempo, fermare il sole e l’altre stelle, rimanerle per sempre accanto, sotto quell’angolo di cielo, intrappolato nella magia di quel momento incantato.
La sua bellezza diventava via via più prepotente e mi faceva sentire goffo; le emozioni mi annodavano la gola, ma non smettevo di parlare. Non volevo concedermi pause per paura di non riuscire più a trovare le parole, di vederle sparire tra i riflessi dei suoi capelli, nella luce del suo sorriso, nel mare dei suoi occhi.
Il mio usuale aplomb, la mia distaccata ironia, tutte le esperienze vissute, le ferite faticosamente rimarginate, le cicatrici a futura memoria, le sicurezze acquisite, l’equilibrio emozionale più o meno raggiunto: tutto era sparito in pochi istanti su quelle meravigliose labbra di rugiada, su quel disiato riso che rappresentava ora il mio unico orizzonte, il mio più intenso e inesauribile desiderio, il mio futuro, il senso della vita, il perché di ogni cosa, la spiegazione a tutto.
Avevo il cuore affaticato, lo stomaco intrecciato, l’anima in subbuglio, ero sorpreso, emozionato, spaventato. Ma stavo bene, galleggiavo nello spazio e nel tempo, in armonia con l’universo intero.
Era come una vertigine, mi sentivo sull’orlo di un precipizio di illusioni, in bilico su un abisso di felicità: non trovavo il coraggio di guardare in basso, ma non riuscivo ad arretrare nemmeno di un centimetro.
Cercavo solo di mantenere l’equilibrio. Almeno fino al suo prossimo sorriso.
NB: Come sia andata a finire non importa: la lezione che ho imparato è che la magia di una donna può travolgere tutto. Quando meno te lo aspetti.
Niente di nuovo, mi direte.
Potevo sprecare molte meno parole, evitare di scomodare poeti, tralasciare le infiorettature romantiche e riportare molto più semplicemente il vecchio adagio: tira più un pelo di f… che un carro di buoi.
In effetti…
PS I: ci tengo a sottolineare che in realtà l’episodio è capitato ad un conoscente, che mi ha riferito tutto pregandomi di parlarne nel blog. Per quanto mi riguarda deve ancora nascere una donna, per quanto bella e fascinosa, per quanto in un contesto languido e piacevole, che mi faccia perdere la testa in questo modo. Sono un osso duro, ci vuole ben altro a farmi capitolare…
Tsè…
PS II: mi rivolgo soprattutto alle donne che mi conoscono: è inutile che vi affanniate a lasciare nei commenti testimonianze dirette e frecciate ironiche tese a confutare quest’ultima affermazione, tanto la scure della censura stroncherà ogni vostra velleità…
Leave a Reply