Mammine “figliorroiche” & Social Network

Ogni anno, più o meno nei paraggi di settembre, mi costringo ad una pausa dai social.

No, non è una terapia per disintossicarmi dalle orde di beoti che girano vorticosamente tra i social come la merda nei tubi; nemmeno un metodo per dedicare più energie ai rapporti reali, ammesso che ne valga la pena. Si tratta solo di autodifesa: in quel periodo, giorno più giorno meno, inizia l’anno scolastico. Giovani ometti e graziose principesse varcano per la prima volta la soglia di una scuola e l’animo di mamma e papà s’empie comprensibilmente d’orgoglio.

Tutto molto bello.

Il mio personalissimo disagio nasce quando toccanti emozioni di questo tipo escono dall’intimità della sfera famigliare e vengono vomitate in rete sotto forma di foto, filmati, dichiarazioni, frasi ad effetto e commenti vari. Soprattutto ad opera di emozionate mammine che vivono quelle immagini come istantanee della loro storia d’amore più importante e non si stancherebbero mai di guardarle.

E quindi giù foto come se non ci fosse un domani.

Col vestitino nuovo, col grembiule, con la cartella, seduti composti al banco; ma in altri periodi anche in piscina, al mare, sugli sci, col pallone, con la barbie, sulla bici, sul vaso da notte. A carnevale via con i pirati e le principesse, ad Halloween avanti con fantasmi e streghette.

Ora, nella cerchia ristretta di parenti, amici e affetti vari, tutto questo non può che dispensare emozioni positive (anche se alcuni ricercatori dell’università libera di Trambacche sostengono che dopo la terza foto persino le zie comincino a sbuffare; non lo ammetteranno mai ma sbuffano…). I social però sono insidiosi e per loro stessa natura tendono a schiaffare il tutto non solo nella bacheca di parenti e amici, ma anche in quella di colleghi, conoscenti, vicini di casa, toy boy, ex compagni di classe, clienti, fornitori, arrotini, lanzichenecchi, giannizzeri, nani e ballerine.

Il giro a quel punto diventa un po’ largo e ammetterete che il grado di commozione di un qualsiasi internauta nel vedere la foto del primo giorno di scuola del figlio di un tizio che fa il terzino nella squadra di calcetto del venditore di aspirapolveri che il giovedì in palestra balla la salsa con la moglie di un suo compagno di liceo ripetente che ora vive ad Ancona e che lui non vede dagli anni ottanta, possa essere comprensibilmente basso.

C’è da dire però che il problema in alcuni casi si aggrava ulteriormente e travalica sia i confini virtuali del web che quelli temporali dell’inizio delle scuole.

Chiariamo i contorni della questione, per evitare fraintendimenti: avere un figlio è probabilmente una delle avventure più coinvolgenti ed emozionanti che si possano vivere. Ovvio quindi che la vita di un genitore diventi comprensibilmente un po’ figliocentrica. Poiché i paparini generalmente dimostrano ed esternano meno certe cose (le eccezioni o i motivi, sociologici o meno, qui non rilevano), dedichiamo qualche riga alle adorate mammine (sempre siano lodate).

Il problema sta sostanzialmente nella capacità di mantenere un certo qual equilibrio nelle interazioni sociali.

Alcune genitrici riescono a conservare la razionalità sufficiente a realizzare che il resto del mondo rimane ben ancorato al suo orizzonte quotidiano anche dopo la raggiante, splendida notizia della nascita di un bimbo nella cerchia delle proprie conoscenze; altre invece non ci riescono e cancellano dal proprio registro comunicativo qualsiasi argomento di conversazione o interazione che non abbia a che fare con la prole.

Sono le temutissime madri “figliorroiche“.

E’ piacevole per chiunque ascoltare una giovane donna che racconta con gli occhi illuminati il primo giorno di scuola del suo cucciolo: i timori, le reazioni, l’orgoglio, i nuovi metodi di inserimento, e chi più ne ha più ne metta. Solo che la genitrice “equilibrata” resterà in grado di sostenere senza problemi anche conversazioni su cinema, politica, sesso, lavoro, sport o sull’ultima puntata di una serie TV.

La mamma figliorroica no. Lei è monotematica, parla solo ed esclusivamente di poppate, pannolini, del menu della mensa scolastica, delle maestre, del gruppo whatsapp dei genitori, della recita di fine anno, del talento intravisto dall’occhio oggettivo di mammà mentre il piccolo genio suonava controvoglia il piffero o la giovane etoile si produceva in un leggiadro arabesque schiantandosi sul proscenio.

E così via.

Tutto questo, protratto per più di una conversazione a trimestre al di fuori della famiglia d’origine o delle amicizie più intime, secondo alcuni autorevoli studiosi è in palese contrasto con la convenzione di Ginevra.

Anche sul posto di lavoro a volte non c’è scampo.

La sala pausa, nelle grandi aziende, è il centro nevralgico del gossip e della interazione svogliata tra colleghi. Ebbene, concentrate tre mamme figliorroiche davanti alla macchinetta del caffè e vedrete svuotarsi istantaneamente la sala pausa, come durante le esercitazioni antincendio.

Secondo una recente ricerca pubblicata dal sindacato dei depilatori di totani, dopo pochi minuti di dettagli sul colore della cacca o sul vomitino dei bimbi, persino i più tenaci fancazzisti preferiscono tornare a lavorare duro e rinunciare al caffè. Tale caratteristica rende tra l’altro le mamme figliorroiche ricercatissime dai cacciatori di teste più spietati, disposti ad usare qualsiasi mezzo per aumentare la produttività aziendale.

E ho detto tutto.

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