Intro
Immaginate un borgo di montagna dal fascino misterioso, incastonato tra il gruppo del Civetta e un bellissimo lago silenzioso.
Immaginate una sinistra, vecchia leggenda secondo cui nelle notti più buie si sente echeggiare dal vecchio campanile sommerso in fondo al lago il rintocco delle campane a lutto. “Suonano per ricordare le anime innocenti assassinate in paese…” – sussurrano a mezza voce gli anziani.
Già le premesse e l’ambientazione sono da brividi.
Ma se dietro le voci di paese si nascondesse uno squarcio di verità?
Se i vecchi racconti celassero una terrificante scia di sangue, costellata di omicidi, dettagli pulp, depistaggi, figli illegittimi, eredità contese, insabbiamenti e riunioni di famiglia per pianificare la prossima vittima da “togliere dalle spese…” ?
Sembrano tutti ingredienti perfetti per un buon giallo, ambientato in un luogo incantevole e spaventoso insieme.
Ma “I misteri di Alleghe” non è un romanzo: è una agghiacciante inchiesta giornalistica. Una pagina di cronaca nera e giudiziaria a tratti incredibile e per certi versi ancora non del tutto chiara, ma reale.
Una terribile storia vera.
Sinossi
Il libro racconta una scia di sangue lunga più di un decennio, dal 1933 al 1946.
In quel di Alleghe, tal Fiore Da Tos aveva sposato Elvira Riva, proprietaria dell’Albergo Centrale, della macelleria e di altri immobili, diventando il patriarca della famiglia più ricca e importante del paese. Elvira aveva avuto in precedenza un figlio fuori dal matrimonio e per non alimentare pettegolezzi lo aveva partorito lontano, in provincia di Venezia, affidandolo a conoscenti.
Queste sono le premesse di tutta la vicenda, secondo la ricostruzione di Sergio Saviane.
Il primo (presunto) omicidio
Le origini della catena di cinque omicidi affonderebbero proprio nell’arrivo ad Alleghe, nel 1933, di quel figlio illegittimo ormai cresciuto. Non una visita di cortesia, ma una sorta di blitz per reclamare la sua fetta del patrimonio di famiglia.
Subito dopo, a partire dal mese di maggio del 1933, in paese cominciano a circolare strane voci.
Voci secondo cui Emma De Ventura, una cameriera del Centrale, avrebbe intravisto pezzi del cadavere di un uomo smaltiti insieme alle carni di scarto della macelleria, nei sotterranei che collegano l’albergo al negozio. Probabilmente i resti del figlio illegittimo di Elvira Da Tos, venuto a batter cassa.
Il secondo omicidio
Il 9 maggio del 1933 Emma De Ventura viene trovata morta in albergo durante l’orario di lavoro, nella camera numero 6.
I proprietari del Centrale chiamano i soccorsi gridando al suicidio, il parroco e il medico confermano la loro versione: la ragazza si è tolta la vita ingerendo tintura di iodio e tagliandosi la gola con un rasoio. Alla base del tragico gesto una forte delusione amorosa, come suggeriscono gli autorevoli datori di lavoro, la famiglia più ricca e importante di Alleghe.
I Da Tos.
Non è proprio tutto così chiaro, in realtà: la bottiglietta di tintura viene ritrovata su una mensola e il rasoio (pulito e richiuso) in un armadio a diversi metri dalla vittima, riversa in una pozza di sangue. Inoltre non risulta a nessun’altro, in paese, che la ragazza fosse preda di turbe sentimentali.
Ma tant’è. Le autorità locali archiviano velocemente il caso come suicidio.
Il terzo omicidio
Passa qualche mese e a dicembre il borgo viene colpito da una strana, singolare tragedia.
Aldo Da Tos (figlio di Fiore ed Elvira), si sposa con Carolina Finazzer, originaria di un paese vicino. E’ un matrimonio combinato e la futura moglie sembra poco convinta, soprattutto per via delle voci su quello strano “suicidio” della cameriera.
Durante il viaggio di nozze incalza il marito con mille domande e probabilmente ottiene le risposte che sperava di non avere. Aldo informa la propria famiglia di quelle domande “scomode” e la luna di miele viene bruscamente interrotta: gli sposi vengono fatti rientrare di volata ad Alleghe. La ragazza allora chiama i genitori e chiede loro di passare a prenderla all’Albergo Centrale il giorno successivo: vuole tornare definitivamente a casa.
Non faranno in tempo.
Il mattino dopo il suo corpo esanime viene ritrovato nelle acque gelide del lago.
Le autorità locali non hanno dubbi: annegamento a seguito di una caduta accidentale in acqua, durante un fortissimo attacco di sonnambulismo. La strana dinamica d’altronde viene suggerita dalla famiglia del vedovo, la famiglia più importante e ricca del paese.
I Da Tos.
Non è proprio tutto così chiaro, in realtà: ci sono evidenti ematomi attorno al collo, che vengono ritenuti dal medico segni di putrefazione ma che sono poco compatibili con un corpo rimasto immerso per poche ore in un lago ghiacciato. Inoltre non risulta che la ragazza avesse mai sofferto di sonnambulismo.
Ma tant’è. Il caso viene rapidamente archiviato come un tragico incidente.
Il quarto e il quinto omicidio
Diversi anni dopo, nel 1946, vengono uccisi a colpi di rivoltella i coniugi Del Monego, molto conosciuti in paese in quanto gestori di uno spaccio dell’ENAL.
Rapina, dichiarano gli inquirenti: le vittime avevano in tasca l’incasso della giornata, che è stato sottratto dai malviventi. E’ un evento senza precedenti, in un borgo di montagna come quello, ma c’è sempre una prima volta.
Le voci che girano in paese, però, raccontano una storia diversa, legata ad un altro episodio tragico.
Si sussurra infatti che Luigi Del Monego, in una fredda notte di dicembre del lontano 1933, fosse stato testimone oculare di strani movimenti notturni dei Da Tos nel tragitto tra l’Albergo Centrale e il lago. Già, proprio la stessa notte in cui era annegata, in seguito ad un forte attacco di sonnambulismo, Carolina Finazzer.
Le autorità tuttavia non hanno dubbi sul duplice delitto: non ha nulla a che fare con vecchie indagini archiviate, si tratta di omicidio a scopo di rapina. Il resto sono pettegolezzi di paese.
L’inchiesta giornalistica
Un suicidio, uno stranissimo annegamento e un duplice omicidio a scopo di rapina.
Senza contare il mistero (mai chiarito) dei resti umani nei sotterranei della macelleria.
Tanta roba, per un piccolo borgo di montagna.
Le voci di chi ha visto, sentito o intuito qualcosa di diverso dalle versioni ufficiali, si rincorrono per anni.
Sarà Sergio Saviane, un giovane giornalista di Castelfranco Veneto, a trasformare battute e pettegolezzi in un’indagine. Frequenta Alleghe da quando era ragazzino, conosce tutti in paese. Si convince che qualcosa non torna e si immerge a capofitto nella sua inchiesta.
Sa muoversi bene e indaga abilmente, con discrezione, tra una chiacchiera in osteria, un’ombra de vin e una confidenza durante una partita a carte. Riesce a togliere la ruggine alle corde vocali dei soggetti chiave, comincia ad intuire un filo logico nella tragica sequenza di morti che hanno sconvolto il paese e giunge infine ad una conclusione agghiacciante
Altro che rasoi che si teletrasportano negli armadi e inspiegabili attacchi di sonnambulismo: si tratta di una catena di omicidi tutti legati tra loro. Una striscia di sangue lunga 13 anni.
Pubblica la sua inchiesta sulla rivista “Il lavoro illustrato” nel 1952, e l’articolo fa scalpore.
Alleghe diventa per mezza Italia la “Montelepre del nord”, ovvero un paesino di montanari omertosi. Saviane si becca una denuncia per diffamazione da parte della famiglia Da Tos, che pure non viene mai esplicitamente nominata nell’articolo, e viene condannato a otto mesi con la condizionale.
Il caso è chiuso, per i magistrati. Per i carabinieri invece no.
L’inchiesta giudiziaria
Il fiuto di Saviane e la sua ricostruzione dei fatti colpiscono un paio di carabinieri intraprendenti.
Il brigadiere Ezio Cesca si infiltra ad Alleghe sotto copertura, nei panni di un operaio. Lavora con i paesani, passa molte serate nei bar insieme a loro, arriva a fidanzarsi con la nipote di una delle testimoni chiave, per ottenere la sua confidenza.
Alla fine di una lunga e scrupolosa indagine trova le conferme e le prove che cercava.
Nel 1958 finiscono in tribunale i Da Tos, gli accusatori di Saviane.
Stavolta il processo non è per diffamazione, ma per omicidio plurimo, e gli imputati vengono dichiarati colpevoli di tre dei cinque omicidi.
L’ergastolo verrà confermato dalla Cassazione nel 1964.
Sergio Saviane ci aveva visto giusto.
Il libro
Nel 1962 lo stesso Saviane ripercorre tutta l’intricata vicenda nel libro “I misteri di Alleghe”. Le sue tesi verranno in seguito messe in dubbio da ricostruzioni alternative, ma rimane la verità giudiziaria delle condanne, corroborate anche dalle confessioni (ritrattate, poi confermate, poi ritrattate) degli imputati durante il processo d’Appello.
Si tratta di una inchiesta giornalistica degli anni ’60, non di un moderno romanzo giallo. Le indagini non si basano su analisi del DNA, celle agganciate dai telefonini e sofisticate ricostruzioni al computer.
Pagina dopo pagina ci si ritrova immersi in una Italia antica, forse difficile persino da immaginare per i lettori più giovani. Ci sono i podestà, i matrimoni combinati, le villeggiature estive in bicicletta, i viaggi di nozze in treno da Belluno a Venezia.
Il tutto in un contesto paesaggistico talmente bello che nemmeno se ricostruito al cinema o in un romanzo potrebbe risultare così affascinante e sinistro insieme.
L’opinione del Ceo
Ho letto questo libro per la prima volta da ragazzino, incuriosito dai racconti di mia mamma che accennava a quella sinistra storia di omicidi ogni volta che passavamo davanti al Centrale di Alleghe per andare a sciare (sì, l’albergo esiste ancora). Ricordo ancora quel volume sgualcito, “divorato” all’epoca con la voracità tipica di un giovane lettore curioso.
Anni dopo ho cercato di reperirne una nuova copia in tutte le librerie che mi capitavano a tiro (parliamo più o meno del Giurassico: non c’erano ancora Amazon e le altre mille vetrine virtuali su internet). Alla fine sono riuscito a scovare con fatica un’edizione del 2000, corredata di numerose foto in bianco e nero dei protagonisti della vicenda. Costava 18.000 lire e la conservo ancora oggi.
Se mai doveste riuscire a procurarvene una copia, mi permetto un suggerimento: una volta finito di leggerlo, regalatevi una gita ad Alleghe. Magari dopo il tramonto, quando le ombre rendono ancora più tagliente la bellezza delle Dolomiti.
Io ancora oggi, ogni volta che mi fermo a guardare il lago, sento un brivido lungo la schiena ripensando a questo libro.
Fatemi sapere.
PS: per chi fosse interessato ad un ulteriore approfondimento, suggerisco di soffermarsi anche sulla figura di Sergio Saviane. Veneto di razza, guascone bonario capace di staffilate memorabili, giornalista irriverente e libero, scrittore mai banale e critico televisivo feroce, ha attraversato cinquant’anni della nostra storia recente trovandosi spesso accanto alle più potenti ed importanti personalità del Paese, ma senza perdere l’ironia, la modestia e la laboriosa semplicità del veneto verace.
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Bello assai. Ricordo anch’io la Miky che commentava i misteri del lago quando si passava in macchina per andare a Corvara.
Sì, i suoi racconti facevano sempre parte del viaggio. 🙂