Una serata al cinema (parte 1)

Locandina "Io ed Annie"

Amo il cinema.

L’incantesimo mi rapisce fin da quand’ero un nanetto che andava in visibilio per i film di Disney e per la saga di Piedone/Bud Spencer. A quel tempo il biglietto dava diritto ad entrare e guardare anche più spettacoli consecutivi. Leggenda narra che tra una proiezione e l’altra il nanetto si aggrappasse alle poltrone e ai drappi rossi urlando la propria disperazione quando la mamma voleva riportarlo a casa…

Qualche decennio mi ha reso più alto e robusto, ma il genuino entusiasmo con cui mi lascio pervadere dalla magia del cinema è rimasto del tutto invariato. Quanto alle preferenze mi definirei genuinamente onnivoro: fagocito di tutto, dai film d’azione alle commedie brillanti, dagli horror ai film “d’ammOre”, dal genere impegnato ai musical. Nei periodi fortunati riesco a dedicare un giorno su sette alla settima arte.

Ma dai tempi di Bambi, Piedone l’africano e gli Aristogatti il mondo del cinema è cambiato; persino gli edifici, le scatole magiche dentro cui si consuma l’incantesimo, sono cambiati. Si sono trasformati in evoluzioni ormai molto lontane da quelle che visitava il nanetto di cui sopra qualche anno fa…

 Le sale d’essai e i cinefili tromboni

Di fronte all’invasione delle astronavi multisala atterrate nelle periferie di ogni città, hanno trovato una loro dimensione di nicchia i cinema “d’essai”. Uso le virgolette perché ormai basta entrare in una struttura con meno di dieci schermi per respirare la puzzasottoilnaso di gestori e spettatori altezzosi, anche se in programmazione c’è l’opera prima di un deejay reduce da un reality televisivo.

Apprezzo molto i tentativi di sperimentare e innovare; mi piace l’idea del film come di una forma d’arte che vada oltre il puro intrattenimento destinato alle masse. Però a tutto c’è un limite. L’ultimo capolavoro in lingua originale di un tormentato regista iraniano che dedica il suo lungometraggio alla vita di un mulo da soma nel deserto del Gobi magari lo perdo volentieri. E’ vero che la qualità spesso si nasconde nelle pieghe di nicchie poco visitate, ma se un film lo vedono in totale quattro critici (per lavoro) e un pugno di spettatori che si segnano il nome del regista per citarlo e fare bella figura nei salotti buoni, un motivo ci sarà.

A volte poi queste sale snobbano anche la tecnologia, perché fa rima con effetti speciali; mi è capitato di assistere a proiezioni su uno schermo poco più grande della tv di casa mia, con impianto audio tipo festa tra adolescenti in garage. Il prezzo del biglietto, in ogni caso, è pari a quello dei cinema “commerciali”. E poi, soprattutto, in questi luoghi il rischio di trovare un’esemplare di cinefilo trombone è piuttosto elevato.

Avete presente la scena di “Io ed Annie” in cui Woody Allen, in coda per entrare al cinema, viene ammorbato dai saccenti sproloqui di un solone che oltretutto, di fronte alle proteste, fa valere con arroganza i suoi titoli accademici e la sua presunta competenza?

Ecco, quello è il tipico cinefilo trombone.

Ebbene il buon vecchio Woody  realizza il sogno di molti di noi, facendo entrare in scena l’autore del film per godersi una sverniciata colossale del saputello che si parla addosso. Ma avere il regista a portata di mano nella coda alla cassa ogni settimana sarebbe pretendere troppo…

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